Le statistiche più diffuse dicono che una donna su tre, tra i 35 e i 39 anni, dopo più di un anno di tentativi non riesce a restare incinta. Non è mai il momento giusto. La casa è troppo piccola, il lavoro è precario, il futuro incerto, i nonni sono lontani, gli asili costano troppo. Tutte motivazioni sacrosante, per carità. Perché è tutto vero: il nostro non è un Paese per bambini. Non ci sono quegli aiuti costanti di cui avrebbero bisogno le famiglie per pianificare un bambino, non c’ è l’ importante detassazione francese. Men che meno il welfare dei paesi nordici, dove le donne lavorano di più, ma fanno anche più figli. E non bastano certo le campagne ministeriali. Fare un figlio dovrebbe far parte della progettualità di una società, non di una singola coppia. Il punto è però che, a parte le esitazioni, quando poi si decide di avere un figlio spesso non ci si riesce. Ed è una doccia fredda, perché quasi mai una coppia di trent’ anni pensa che non riuscirà a fare un figlio. E invece la fertilità non è infinita, e anzi in questi anni è diminuita costantemente. Per tutta una serie di motivi, alcuni dipendenti dai nostri stili di vita, altri dall’ ambiente: i famosi interferenti endocrini, una infinità di molecole e sostanze in grado di influenzare il nostro sistema endocrino e quindi la riproduzione. Ma c’ entrano anche i comportamenti individuali, come diete scriteriate, uso di droghe, fumo, alcolici. Tanto che l’ Eshre, la società europea di embriologia e riproduzione umana ha deciso di istituire un gruppo di interesse specifico, dedicato appunto alla preservazione della fertilità. Perché – spiega il suo coordinatore sono indispensabili strategie comuni e sforzi educativi. La preservazione della fertilità dunque, sia per motivi medici che sociali, è ormai parte integrante della medicina della riproduzione e i programmi di preservazione possono essere una risorsa molto preziosa per salvaguardare le possibilità riproduttive dei giovani.